È sicuramente uno dei comici più amati della televisione nostrana, e al contempo anche conduttore delle differenti espressioni di questa, basti pensare all’autunnale edizione de Le Iene, il programma di Davide Parenti che l’ha visto come principale, seppur non totalmente gradita, novità. Da qualche anno a questa parte si è anche “riciclato” nel cosiddetto cine-panettone eppure la critica non ha mai speso particolari pareri negativi contro di lui. È Fabio De Luigi, l’istrionico idolo dei giovanissimi, il protagonista di questa intervista a La stampa che vi riportiamo di seguito.
Ci riesce solo a lui. Fabio De Luigi è l’unico attore a far rimare Neri Parenti con Gabriele Salvatores. A piacere (quasi) a destra e (pressoché universalmente) a sinistra.
De Luigi, come si fa a passare indenni dalla cinepanettonata a una pellicola algido-cerebrale?
«È un vanto apparire credibile in due film così diversi. Da Salvatores ho imparato tanto. Ama gli attori, anche quelli che interpretano ruoli minori, come il mio in Come Dio comanda. Finita la scena mi chiedeva di continuare sapendo che quelle sequenze non sarebbero andate, per capire il sottotesto del mio personaggio».
Sì, però il film è freddino.
«È volutamente freddo, una scelta coraggiosa di Gabriele. Desiderava realizzare un’opera maschilista, che concedesse pochissimo».
E Natale a Rio?
«Ho finito la mia trilogia di Kieslowski. Neri Parenti è un grande, non è facile fare ogni anno un film che rispetti i cliché e sia rassicurante. Il mio episodio è quasi un cartone animato, non sono mai caduto così tanto in un film. Nel suo genere, Neri non ha nulla da invidiare ai grandi maestri».
Sarà il suo ultimo cinepanettone?
«Forse sì. Sono stati una scelta strategica, dovevano servirmi per allargare il mio pubblico. Al cinema non basta la fama televisiva. Ed è una scelta che ha pagato».
Così però i grandi registi non la chiameranno.
«Non mi chiamavano neanche prima. Giusto che non mi vogliano se non mi stimano, deprimente se intendono punirmi per questa macchia indelebile. Solo in Italia un attore comico deve vergognarsi di fare film comici. Poi magari, tra qualche anno, verremo rivalutati. Come Moana Pozzi. Prima era solo una pornoattrice, poi hanno scoperto che diceva cose sensate ed è diventata un genio».
Guardi che tra i detrattori dei cinepanettoni c’è pure la Gialappa’s.
«Prendere in giro è il loro modo di volerti bene. Uno dei tre - non farò i nomi - neanche vuole pronunciare i titoli, dice solo “quel film”. Ma un altro in privato mi ha detto: non l’ammetterò mai in pubblico, ma hai fatto bene a farli».
Christian De Sica ha paragonato la Hunziker alla Vitti.
«Forse è esagerato, ma è molto brava. La nostra è una chimica perfetta. Lo capisco anche dalla prima serie di Love Bugs, andata meglio delle altre. Ci snobbavano, ora è la sitcom più replicata».
Nanni Moretti dice che il cinema italiano non sta bene.
«E io non sono d’accordo. Proprio grazie ai film “non impegnati" si è creato un indotto e allargato il bacino di utenza di opere “impegnate" come Il divo o Gomorra, il miglior film dell’anno. La qualità parla da sola».
Davide Parenti ha detto di averla scelta per Le Iene perché lei «piace a tutti».
«E un comico gradito a tutti non va bene, perché dice cose innocue e magari è pure un po’ scemo. Conosco la storia. Mica è un difetto essere trasversali. E poi per carattere mi va benissimo non avere nemici».
Le piace Ilary Blasi?
«Molto. Totalmente sprovvista di sovrastrutture, alla mano, leggera. Abbiamo legato subito».
È un caso che non abbia mai lavorato con Fazio e Dandini?
«La mia famiglia televisiva è la Gialappa’s, perfetti per la mia comicità. Perché cambiare? Con Fazio dovevo lavorare dopo il primo anno di Gialappa’s, poi decisi che stavo meglio con loro».
La Guzzanti tifa Di Pietro; Marcorè, Veltroni.
«E io aspetto. La sberla elettorale e il crollo delle ideologie hanno frastornato tutti, anzitutto i leader. O dalle macerie nasce qualcosa o è dramma».
Di Funari che ricordo ha?
«Uno splendido pazzo. Senza regole, fumava e inveiva su tutti. Doveva condurre uno show in prima serata su RaiUno, ma una volta lì ha vinto la sua natura. Era un istintivo, giustamente ha trasformato Apocalypse Show nel suo spettacolo. A quel punto però non ci dicevo più nulla e dopo due puntate me ne sono andato».
Lo sa che in Italia solo lei ed Elio amate il baseball?
«Può sembrare una scelta élitaria da fighetti, in realtà a Sant’Arcangelo era naturale giocare a baseball, come in tutti i paesi vicino alle basi Nato. Ho militato in serie A1, il baseball tutto è fuorché noioso».
Come i cinepanettoni?
«Insisto: più facile essere snob che misurarsi con certe sfide».
Ci riesce solo a lui. Fabio De Luigi è l’unico attore a far rimare Neri Parenti con Gabriele Salvatores. A piacere (quasi) a destra e (pressoché universalmente) a sinistra.
De Luigi, come si fa a passare indenni dalla cinepanettonata a una pellicola algido-cerebrale?
«È un vanto apparire credibile in due film così diversi. Da Salvatores ho imparato tanto. Ama gli attori, anche quelli che interpretano ruoli minori, come il mio in Come Dio comanda. Finita la scena mi chiedeva di continuare sapendo che quelle sequenze non sarebbero andate, per capire il sottotesto del mio personaggio».
Sì, però il film è freddino.
«È volutamente freddo, una scelta coraggiosa di Gabriele. Desiderava realizzare un’opera maschilista, che concedesse pochissimo».
E Natale a Rio?
«Ho finito la mia trilogia di Kieslowski. Neri Parenti è un grande, non è facile fare ogni anno un film che rispetti i cliché e sia rassicurante. Il mio episodio è quasi un cartone animato, non sono mai caduto così tanto in un film. Nel suo genere, Neri non ha nulla da invidiare ai grandi maestri».
Sarà il suo ultimo cinepanettone?
«Forse sì. Sono stati una scelta strategica, dovevano servirmi per allargare il mio pubblico. Al cinema non basta la fama televisiva. Ed è una scelta che ha pagato».
Così però i grandi registi non la chiameranno.
«Non mi chiamavano neanche prima. Giusto che non mi vogliano se non mi stimano, deprimente se intendono punirmi per questa macchia indelebile. Solo in Italia un attore comico deve vergognarsi di fare film comici. Poi magari, tra qualche anno, verremo rivalutati. Come Moana Pozzi. Prima era solo una pornoattrice, poi hanno scoperto che diceva cose sensate ed è diventata un genio».
Guardi che tra i detrattori dei cinepanettoni c’è pure la Gialappa’s.
«Prendere in giro è il loro modo di volerti bene. Uno dei tre - non farò i nomi - neanche vuole pronunciare i titoli, dice solo “quel film”. Ma un altro in privato mi ha detto: non l’ammetterò mai in pubblico, ma hai fatto bene a farli».
Christian De Sica ha paragonato la Hunziker alla Vitti.
«Forse è esagerato, ma è molto brava. La nostra è una chimica perfetta. Lo capisco anche dalla prima serie di Love Bugs, andata meglio delle altre. Ci snobbavano, ora è la sitcom più replicata».
Nanni Moretti dice che il cinema italiano non sta bene.
«E io non sono d’accordo. Proprio grazie ai film “non impegnati" si è creato un indotto e allargato il bacino di utenza di opere “impegnate" come Il divo o Gomorra, il miglior film dell’anno. La qualità parla da sola».
Davide Parenti ha detto di averla scelta per Le Iene perché lei «piace a tutti».
«E un comico gradito a tutti non va bene, perché dice cose innocue e magari è pure un po’ scemo. Conosco la storia. Mica è un difetto essere trasversali. E poi per carattere mi va benissimo non avere nemici».
Le piace Ilary Blasi?
«Molto. Totalmente sprovvista di sovrastrutture, alla mano, leggera. Abbiamo legato subito».
È un caso che non abbia mai lavorato con Fazio e Dandini?
«La mia famiglia televisiva è la Gialappa’s, perfetti per la mia comicità. Perché cambiare? Con Fazio dovevo lavorare dopo il primo anno di Gialappa’s, poi decisi che stavo meglio con loro».
La Guzzanti tifa Di Pietro; Marcorè, Veltroni.
«E io aspetto. La sberla elettorale e il crollo delle ideologie hanno frastornato tutti, anzitutto i leader. O dalle macerie nasce qualcosa o è dramma».
Di Funari che ricordo ha?
«Uno splendido pazzo. Senza regole, fumava e inveiva su tutti. Doveva condurre uno show in prima serata su RaiUno, ma una volta lì ha vinto la sua natura. Era un istintivo, giustamente ha trasformato Apocalypse Show nel suo spettacolo. A quel punto però non ci dicevo più nulla e dopo due puntate me ne sono andato».
Lo sa che in Italia solo lei ed Elio amate il baseball?
«Può sembrare una scelta élitaria da fighetti, in realtà a Sant’Arcangelo era naturale giocare a baseball, come in tutti i paesi vicino alle basi Nato. Ho militato in serie A1, il baseball tutto è fuorché noioso».
Come i cinepanettoni?
«Insisto: più facile essere snob che misurarsi con certe sfide».
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