Giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva italiana, Rosanna Lambertucci è uno dei volti più noti di mamma Rai. Militante nell’azienda della Tv di Stato sin dal 1980, la sua carriera è stata caratterizzata da una particolare attenzione alla salute, come il titolo del suo primo programma: S come salute. E di lì in poi tante edizioni di Più sani più belli, lo stesso nome utilizzato per il suo segmento in Domenica in, quello che lei etichetta come il primo reality show della storia della televisione italiana. Anche se, a proposito, ci sono tantissime discussioni, quasi come se l’aggiudicarsi la palma del primo sotto questo punto di vista sia un merito per quanto poco amato sia il genere: chi afferma che sia il Grande Fratello del 2000, altri il vecchio Stranamore di Alberto Castagna e poi lei, Rosanna Lambertucci, che si confessa in questa intervista che traiamo direttamente da Il giornale:
Rosanna Lambertucci, inossidabile salutista tv.
«Venivo da giurisprudenza, ho cominciato a occuparmi di salute per motivi personali».
Quando?
«Giovanissima, mi ero sposata a diciannove anni, ho avuto molte peripezie per avere la mia unica figlia e questo mi ha costretto a frequentare molto gli ospedali e la medicina».
Peripezie?
«Sei gravidanze andate male, ho perso sei figli. Un’esperienza drammatica che mi ha segnato».
Malasanità?
«No. Avevo forse trascurato dei campanelli di allarme. Ho capito sulla mia pelle l’importanza dell’informazione e della prevenzione».
E questo interesse quando si trasforma in lavoro?
«Casualmente, quando lavoravo al Dse di Luciano Rispoli, feci con lui un programma sperimentale che si chiamava La salute del bambino».
Conduttrice?
«No, dietro le quinte. Ero timidissima, non ce la facevo proprio ad andare in video. Era il 1978».
L’anno del suo ingresso in Rai?
«No, avevo già lavorato come autrice in un programma che si chiamava la Parola ai giudici, e che era più affine ai miei studi».
E alla sua estrazione: suo padre è stato un importante magistrato.
«Il mio secondo padre, per così dire. Mio padre lo persi a dieci anni, in un incidente stradale. Mia madre ebbe accanto un carissimo amico di famiglia che poi sposò: Achille Gallucci, capo della procura di Roma negli Anni di piombo. Eravamo nel mirino».
Vivevate blindati?
«Scortati giorno e notte, con le macchine blindate. Ho brutti ricordi di quegli anni, vedevo l’ansia di mia madre».
Avete mai ricevuto minacce?
«L’anno del delitto Moro, il 1978, fu infernale. Non vivevamo più. Ci trasferimmo in una casa all’Eur con vetri antiproiettile, sbarre, ingresso controllato dalla polizia. Un inferno. Nel 2003 quando Achille morì ritrovai tutti i poliziotti della scorta, erano stati parte della nostra famiglia».
Lei poi seguì le orme del secondo padre studiando Legge.
«Sì, diedi molti esami ma non mi laureai, avevo cominciato a lavorare in tv».
E il suo programma cult?
«Più sani più belli. Cominciammo nel 1981. Fu una mia idea, solo per caso divenni la conduttrice. Delle prime volte ricordo un’ansia disumana, prima della diretta dovevo fare training autogeno».
Quante edizioni?
«Sedici, una delle prime puntate ebbi ospite Andreotti che parlò dell’emicrania».
I grandi capi della Dc erano di casa nella sua famiglia.
«Andreotti veniva a giocare a carte da noi. Cossiga, allora presidente della Repubblica, rimase male perché invitai a presentare il mio libro Andreotti e non lui. Ma non mi sarei mai permessa di scomodare il capo dello Stato! Lo chiamai per scusarmi, da allora siamo grandi amici».
La criticavano perché in tv faceva vedere le modelle mezze nude.
«Embè? Il seno è il simbolo della maternità. Veniva Umberto Veronesi a insegnare l’autopalpazione, che senso aveva scandalizzarsi? La tv volgare è un’altra».
Quale?
«Troppe vallette svestite, anche agli uomini danno fastidio».
Sicura?
«Quel fenomeno sta già finendo. Sono sicura che in tv si stia tornando alla morigeratezza»
E i reality?
«Non li metto nella tv volgare. Il primo reality l’ho fatto io a Più sani e più belli. Nel 1986 portai il primo gruppo di persone sovrappeso che dimagrivano con noi, durante il programma».
Il grande fratellone.
«L’abbiamo inventato noi. Portavo la realtà in televisione, i problemi della gente reale».
Lei è da trent’anni in Rai. Nessuna offerta da tv privata?
«Come no. Mi chiamò Gianni Boncompagni nel 1992, lavorava a Mediaset, voleva che facessi un programma con tanti giovani e che si sarebbe chiamato Rosanna contro tutti. Rifiutai e chiamò Ambra e fecero Non è la Rai.
Le offrirono un bel contratto?
«Uhhh! Dal punto di vista economico era completamente diverso dalla Rai. Qui avevo ancora uno stipendio da impiegata, guadagnavo molto meno del regista».
E perché disse di no?
«Perché non sono avida. Sennò avrei accettato tutte le offerte che ho avuto di creare linee di cosmetica, dietetiche, diventare titolare di palestre...».
Ebbe però una disavventura per pubblicità occulta nel 1996.
«Finii nel calderone per una cosa che non c’entrava niente con un’indagine molto più ampia. Si concluse con un patteggiamento veloce, senza nessun tipo di multa».
È vero che lei ha la residenza a Montecarlo?
«Sì dal 1993, ma lo dico subito: pago le tasse in Italia».
Perché Montecarlo?
«È una brutta storia, non so se me la sento di raccontarla... Subii un tentativo di rapimento».
Rapimento?
«Era il 1992, stavo a Firenze, mi chiamò la Rai e mi dissero che mi stavano mandando a prendere dalla polizia. In commissariato mi fecero ascoltare la registrazione di una telefonata intercettata dove si pianificava il mio rapimento. Riconobbi la voce di una persona che conoscevo. Fu uno shock, decisi di lasciare l’Italia».
Per il Principato.
«Avevo ricevuto una proposta di lavoro da Rmc, con cui poi feci un programma diretta per tre anni. Presi la residenza lì, dove ci si sente sicuri. E si hanno vantaggi infiniti: assistenza sanitaria, pensione. Dirigo un’associazione per la salute, Femme Santè-Santè Femme.
Scrive anche libri.
«Ne ho scritti tredici, tutti successi di Mondadori. L’ultimo, Il viaggio dimagrante, praticamente il mio diario per la dieta, è alla terza edizione in tre settimane. Voglio scrivere un libro sulla mia vita, ma tra qualche anno».
In Rai ora cambiano i vertici. Cosa si augura?
«Continuare a occuparmi di salute. Magari con un po' più di spazio di quanto non ne abbia ora».
«Venivo da giurisprudenza, ho cominciato a occuparmi di salute per motivi personali».
Quando?
«Giovanissima, mi ero sposata a diciannove anni, ho avuto molte peripezie per avere la mia unica figlia e questo mi ha costretto a frequentare molto gli ospedali e la medicina».
Peripezie?
«Sei gravidanze andate male, ho perso sei figli. Un’esperienza drammatica che mi ha segnato».
Malasanità?
«No. Avevo forse trascurato dei campanelli di allarme. Ho capito sulla mia pelle l’importanza dell’informazione e della prevenzione».
E questo interesse quando si trasforma in lavoro?
«Casualmente, quando lavoravo al Dse di Luciano Rispoli, feci con lui un programma sperimentale che si chiamava La salute del bambino».
Conduttrice?
«No, dietro le quinte. Ero timidissima, non ce la facevo proprio ad andare in video. Era il 1978».
L’anno del suo ingresso in Rai?
«No, avevo già lavorato come autrice in un programma che si chiamava la Parola ai giudici, e che era più affine ai miei studi».
E alla sua estrazione: suo padre è stato un importante magistrato.
«Il mio secondo padre, per così dire. Mio padre lo persi a dieci anni, in un incidente stradale. Mia madre ebbe accanto un carissimo amico di famiglia che poi sposò: Achille Gallucci, capo della procura di Roma negli Anni di piombo. Eravamo nel mirino».
Vivevate blindati?
«Scortati giorno e notte, con le macchine blindate. Ho brutti ricordi di quegli anni, vedevo l’ansia di mia madre».
Avete mai ricevuto minacce?
«L’anno del delitto Moro, il 1978, fu infernale. Non vivevamo più. Ci trasferimmo in una casa all’Eur con vetri antiproiettile, sbarre, ingresso controllato dalla polizia. Un inferno. Nel 2003 quando Achille morì ritrovai tutti i poliziotti della scorta, erano stati parte della nostra famiglia».
Lei poi seguì le orme del secondo padre studiando Legge.
«Sì, diedi molti esami ma non mi laureai, avevo cominciato a lavorare in tv».
E il suo programma cult?
«Più sani più belli. Cominciammo nel 1981. Fu una mia idea, solo per caso divenni la conduttrice. Delle prime volte ricordo un’ansia disumana, prima della diretta dovevo fare training autogeno».
Quante edizioni?
«Sedici, una delle prime puntate ebbi ospite Andreotti che parlò dell’emicrania».
I grandi capi della Dc erano di casa nella sua famiglia.
«Andreotti veniva a giocare a carte da noi. Cossiga, allora presidente della Repubblica, rimase male perché invitai a presentare il mio libro Andreotti e non lui. Ma non mi sarei mai permessa di scomodare il capo dello Stato! Lo chiamai per scusarmi, da allora siamo grandi amici».
La criticavano perché in tv faceva vedere le modelle mezze nude.
«Embè? Il seno è il simbolo della maternità. Veniva Umberto Veronesi a insegnare l’autopalpazione, che senso aveva scandalizzarsi? La tv volgare è un’altra».
Quale?
«Troppe vallette svestite, anche agli uomini danno fastidio».
Sicura?
«Quel fenomeno sta già finendo. Sono sicura che in tv si stia tornando alla morigeratezza»
E i reality?
«Non li metto nella tv volgare. Il primo reality l’ho fatto io a Più sani e più belli. Nel 1986 portai il primo gruppo di persone sovrappeso che dimagrivano con noi, durante il programma».
Il grande fratellone.
«L’abbiamo inventato noi. Portavo la realtà in televisione, i problemi della gente reale».
Lei è da trent’anni in Rai. Nessuna offerta da tv privata?
«Come no. Mi chiamò Gianni Boncompagni nel 1992, lavorava a Mediaset, voleva che facessi un programma con tanti giovani e che si sarebbe chiamato Rosanna contro tutti. Rifiutai e chiamò Ambra e fecero Non è la Rai.
Le offrirono un bel contratto?
«Uhhh! Dal punto di vista economico era completamente diverso dalla Rai. Qui avevo ancora uno stipendio da impiegata, guadagnavo molto meno del regista».
E perché disse di no?
«Perché non sono avida. Sennò avrei accettato tutte le offerte che ho avuto di creare linee di cosmetica, dietetiche, diventare titolare di palestre...».
Ebbe però una disavventura per pubblicità occulta nel 1996.
«Finii nel calderone per una cosa che non c’entrava niente con un’indagine molto più ampia. Si concluse con un patteggiamento veloce, senza nessun tipo di multa».
È vero che lei ha la residenza a Montecarlo?
«Sì dal 1993, ma lo dico subito: pago le tasse in Italia».
Perché Montecarlo?
«È una brutta storia, non so se me la sento di raccontarla... Subii un tentativo di rapimento».
Rapimento?
«Era il 1992, stavo a Firenze, mi chiamò la Rai e mi dissero che mi stavano mandando a prendere dalla polizia. In commissariato mi fecero ascoltare la registrazione di una telefonata intercettata dove si pianificava il mio rapimento. Riconobbi la voce di una persona che conoscevo. Fu uno shock, decisi di lasciare l’Italia».
Per il Principato.
«Avevo ricevuto una proposta di lavoro da Rmc, con cui poi feci un programma diretta per tre anni. Presi la residenza lì, dove ci si sente sicuri. E si hanno vantaggi infiniti: assistenza sanitaria, pensione. Dirigo un’associazione per la salute, Femme Santè-Santè Femme.
Scrive anche libri.
«Ne ho scritti tredici, tutti successi di Mondadori. L’ultimo, Il viaggio dimagrante, praticamente il mio diario per la dieta, è alla terza edizione in tre settimane. Voglio scrivere un libro sulla mia vita, ma tra qualche anno».
In Rai ora cambiano i vertici. Cosa si augura?
«Continuare a occuparmi di salute. Magari con un po' più di spazio di quanto non ne abbia ora».
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