Alla presentazione dei palinsesti Rai avvenuta martedì sera si sono registrati dei piccoli “mini-eventi” che hanno dato un po’ di colore alla serata. Tra questi, le prese di posizione di Antonella Clerici, di cui vi abbiamo raccontato, di Milly Carlucci, che a fine incontro ha sbottato visto che praticamente nessuno si è ricordato del suo impegno per Miss Italia e per il record di ascolti della sua ultima edizione di Ballando con le stelle – sottolineando che si trattasse del programma più visto dell’anno, quando in realtà a detenerne la palma è Ti lascio una canzone – e di Pippo Baudo. Tre grandissimi artisti, forse quelli che più contraddistinguono assieme a Carlo Conti, ad oggi, la missione di Raiuno: classicità e familiarità. Fa specie, però, che arrivino proprio da questi pilastri le lamentele più evidenti e più esasperanti. Perché non una Balivo, perché non un’Isoardi, perché non una Bianchetti, hanno “dato di matto”? Semplice, se ci poniamo un’altra domanda: la Rai, e nello specifico Raiuno, sa trattare i suoi artisti? Evidentemente no. Credo, che ci sia una serie di fattori che influisca nella resa televisiva e nel comportamento ‘simil-privato’ di un conduttore o di una presentatrice, differente per casi, simile per “attuazione”.
In primo luogo, il rapporto di subordinazione tra direttore di rete e personaggio che molto spesso valica determinati confini e che perde di significato. Ciò è avvenuto per ben sette anni con la direzione Del Noce, durante cui a capacità, abilità, bravura sono stati preferiti simpatie, favoritismi, pressioni politiche. Una figura messa lì per caso, mossa da chissà quale volere, entra in un rapporto di “paternità” con il direttore, il quale è chiamato a tenerla a bada costantemente, sacrificando l’immagine della sua rete. Conseguentemente, il sacrificio porta a salti mortali in palinsesto da giustificare con le motivazioni più improbabili e ad un clima molto pesante da sopportare, in cui il pettegolezzo e il rumor sulla starlette di turno, la fanno da padrone. E’ la costituzione di un ambiente di lavoro in cui i significati di gavetta, di sudore, di sacrifico, di lezione e di apprendimento perdono di significato e pone sullo stesso piano la cuneese e la milanese, l’aversana e il catanese, la napoletana e l’abruzzese, con carriere azzerate e tutti posti agli stessi blocchi di partenza. L’artista che ha regalato anni d’oro alla rete non è più gratificato, bensì è demotivato.
Il motivo principale, a mio avviso, di questa esasperazione generale trova suo fulcro di riflessione nella figura di un direttore di rete che, per quanto bene ha fatto a livello d’ascolti, ha sovvertito tutta una gerarchia di lavoro da rispettare nella maniera più assoluta. Il risultato, all’occhio del pubblico, è che gente come Giancarlo Magalli e Monica Leofreddi o si trova su Raidue o diventa mamma a tempo pieno. Non solo: c’è da contare anche una maggiore inflessibilità in ciò che può essere proposto. Difficilmente un conduttore a Raiuno può spaziare diversi generi, divenendo così eclettico e versatile, visto un tipo di pubblico che accorre in massa solo quando sono presenti determinati elementi, alla mancanza di cui si grida al “flop”. Le soddisfazioni arrivano, pertanto, se solo si è completamente accettata la struttura nella quale si lavora e – regola di vita – se si è ben consci delle proprie qualità (un Amadeus che reclama Sanremo, ad esempio, è un Amadeus che ubriaco d’ascolti perde i lumi della ragione).
Ad oggi, la Rai, o per meglio dire Raiuno, è l’azienda, il canale dove si è lavorato perché sei bello, sei giovane, sei simpatico, sei “protetto”. La rete dove vieni trattato diversamente se diventi mamma, dove o fai quello o non fai niente, dove guidi una serie di ballerini a vita. In caso contrario, sii un’aziendalista fino in fondo, piega il collo al regime, diventa da tappabuchi a volto di rete (citofonare Carlo Conti). Non a caso, concludendo, non riesco a trovare a Raiuno volti immagine così come a Canale5. Con una Carlucci, una Clerici, un Baudo – a tutti gli effetti le bandiere della rete ora diretta da Mauro Mazza – sono i primi a lamentarsi del trattamento che ricevono, perché dovrei porli, posta come base di paragone l’essere figure chiave di una rete, allo stesso livello di una De Filippi, di uno Scotti, di una D’Urso?
In primo luogo, il rapporto di subordinazione tra direttore di rete e personaggio che molto spesso valica determinati confini e che perde di significato. Ciò è avvenuto per ben sette anni con la direzione Del Noce, durante cui a capacità, abilità, bravura sono stati preferiti simpatie, favoritismi, pressioni politiche. Una figura messa lì per caso, mossa da chissà quale volere, entra in un rapporto di “paternità” con il direttore, il quale è chiamato a tenerla a bada costantemente, sacrificando l’immagine della sua rete. Conseguentemente, il sacrificio porta a salti mortali in palinsesto da giustificare con le motivazioni più improbabili e ad un clima molto pesante da sopportare, in cui il pettegolezzo e il rumor sulla starlette di turno, la fanno da padrone. E’ la costituzione di un ambiente di lavoro in cui i significati di gavetta, di sudore, di sacrifico, di lezione e di apprendimento perdono di significato e pone sullo stesso piano la cuneese e la milanese, l’aversana e il catanese, la napoletana e l’abruzzese, con carriere azzerate e tutti posti agli stessi blocchi di partenza. L’artista che ha regalato anni d’oro alla rete non è più gratificato, bensì è demotivato.
Il motivo principale, a mio avviso, di questa esasperazione generale trova suo fulcro di riflessione nella figura di un direttore di rete che, per quanto bene ha fatto a livello d’ascolti, ha sovvertito tutta una gerarchia di lavoro da rispettare nella maniera più assoluta. Il risultato, all’occhio del pubblico, è che gente come Giancarlo Magalli e Monica Leofreddi o si trova su Raidue o diventa mamma a tempo pieno. Non solo: c’è da contare anche una maggiore inflessibilità in ciò che può essere proposto. Difficilmente un conduttore a Raiuno può spaziare diversi generi, divenendo così eclettico e versatile, visto un tipo di pubblico che accorre in massa solo quando sono presenti determinati elementi, alla mancanza di cui si grida al “flop”. Le soddisfazioni arrivano, pertanto, se solo si è completamente accettata la struttura nella quale si lavora e – regola di vita – se si è ben consci delle proprie qualità (un Amadeus che reclama Sanremo, ad esempio, è un Amadeus che ubriaco d’ascolti perde i lumi della ragione).
Ad oggi, la Rai, o per meglio dire Raiuno, è l’azienda, il canale dove si è lavorato perché sei bello, sei giovane, sei simpatico, sei “protetto”. La rete dove vieni trattato diversamente se diventi mamma, dove o fai quello o non fai niente, dove guidi una serie di ballerini a vita. In caso contrario, sii un’aziendalista fino in fondo, piega il collo al regime, diventa da tappabuchi a volto di rete (citofonare Carlo Conti). Non a caso, concludendo, non riesco a trovare a Raiuno volti immagine così come a Canale5. Con una Carlucci, una Clerici, un Baudo – a tutti gli effetti le bandiere della rete ora diretta da Mauro Mazza – sono i primi a lamentarsi del trattamento che ricevono, perché dovrei porli, posta come base di paragone l’essere figure chiave di una rete, allo stesso livello di una De Filippi, di uno Scotti, di una D’Urso?
La rai secondo i miei punti di vista,perdera pubblico,che si spostera sulle reti mediaset
RispondiEliminasecondo me, in rai come a canale cinque ci sono sempre le stesse facce, bisogna assolutamente cambiare,è necessario un rinnovamento.Sia la carlucci che Baudo o la Clerici non devono lamentarsi, la televisione ha bisogno di volti nuovi.Oramai per quanto mi riguarda preferisco guardare i vecchi film,che sono memoria di un grande passato di artisti che non ci sono più.
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