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giovedì 2 ottobre 2008

TEO TEOCOLI: «ANCHE SE NON CI VADO, IN TELEVISIONE NESSUNO SI SCORDERÀ DI ME»

La televisione spesso si dimentica delle personalità che crea o che forma, in un certo senso. Riempie il possibili con chi non dovrebbe minimamente farne parte, e lascia fuori chi ha doti e capacità. Un esempio? Teo Teocoli. Il nostro Expedit si occupò del suo straniante allontanamento già nel lontano giugno. Rintanato a forza negli spazi che sono venuti a crearsi tra un’immagine e una moviola in quel della Domenica Sportiva prima e in un dimenticabile (e dimenticato, aggiungeremmo) Notti Europee poi per dare sfoggio della sua incredibile vena comica - chi, dei pochi che hanno seguito l’approfondimento calcistico di seconda serata durante gli Europei, non ricorda il divertimento scaturito dal semaforo di Tombolini? -, è l’occasione del ritorno a teatro quella giusta per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. E lo fa con questa rilasciata a Il Giornale che, naturalmente, riportiamo di seguito.

«Sono un cantastorie e un po’ anche un “cacciaballe”». Scherza, Teo Teocoli, ben sapendo di essere come il vino buono: più passano gli anni più diventa pregiato e apprezzato. In effetti ha esordito proprio in una «cantina», come chiama il vecchio Derby che ha fatto la storia della comicità milanese; e ha finito con il conquistarsi le simpatie di milioni di italiani, tra teatro e Tv. Per raccontare che cosa è successo nel frattempo, tra quelle prime esibizioni alle due di notte davanti a dieci spettatori e i one-man-show alla ribalta dei teatri più prestigiosi, ha ideato lo spettacolo Dal Derby al Nuovo, che debutterà il 25 ottobre al teatro Colosseo di Torino. «Il titolo è un gioco di parole», spiega Teocoli. «Il Nuovo è il teatro milanese in cui mi esibirò dopo Natale, ma anche il nuovo Derby di via Mascagni, di cui sono diventato direttore artistico. Tra il Derby di ora e quello degli Anni 60, c’è la storia della mia vita, successi, insuccessi, incomprensioni, racconto un viaggio lungo trent’anni, in cui farà capolino ogni tanto Tony Dallara, un numero uno che all’inizio lavorava per un piatto di pasta. Anche andare al cinema in Duomo, all’epoca, era una festa. E pensare che oggi alcune sale sembrano una camera ardente, con tre anziani che stanno lì con le mani giunte come se vegliassero il morto».

Quanto è cambiato, in questi anni, il modo di fare ridere?
«Di comicità milanese ce n’è poca. A Zelig sono troppo giovani per raccontare Milano, non parlano neanche il dialetto. Propongono una comicità violenta, sono alla ricerca del successo immediato, molti debuttano direttamente in Tv, senza prima essersi fatti le ossa. Anche per questo non ci sono più grandi comici».

Lei è diventato popolare anche grazie alle sue interpretazioni di personaggi, da Galliani a Max Pezzali. In Dal Derby al Nuovo, ad esempio, ritroveremo creature surreali come Felice Caccamo e debutterà il «Presidente Moratti»...
«Caccamo è il mio preferito, sogno di girare un film su di lui. Di Moratti mi ha colpito l’apparente indecisione, così lo faccio andare sempre avanti e indietro. Per divertire il pubblico bisogna cogliere il dettaglio che caratterizza il personaggio».

Già nel 2006 con Fabio Fazio, nel talk show Che tempo che fa su Raitre, fece sbellicare i telespettatori con i suoi aneddoti.
«L’ho fatto per tre mesi, ma poi sono diventato un po’ geloso delle mie storie. Non volevo darle via così. Insomma, già pensavo di farne uno spettacolo teatrale. Non si tratta di un’operazione nostalgia, voglio rendere il disagio di vivere nelle città che diventano irriconoscibili».

Il Festival di Sanremo 2007 rifiutò Carta d’identità, la canzone che cantava assieme a Tony Dallara e che divenne popolarissima grazie a Fiorello e Baldini. Quest’anno ci riproverà?
«Mi piacerebbe tornare a Sanremo, ma per fare un bello sketch sul palcoscenico. Ma non mi chiameranno mai».

Come mai in Tv la si vede così poco?
«Raiuno ha scelto di rivolgersi a un pubblico a cui gli artisti, i Verdone, i Proietti, gli Albanese, non interessano. Ne ho parlato anche con Fiorello, è d’accordo con me. Mi ha chiamato anche Antonio Marano, il direttore di Raidue, per propormi di tornare in onda, ma poi non concretizziamo. Forse potrei fare un programma di nicchia, una quarta serata dedicata ai nottambuli».

E se un giorno il pubblico non si ricordasse più di lei, andrebbe sull’Isola dei Famosi?
«Ho tanto mestiere che non credo mi dimenticherà mai nessuno. E poi un artista deve esibirsi, se il pubblico scarseggia abbassa i cachet e lavora lo stesso».

E i suoi rapporti con Mediaset come sono?
«Si arrabbiarono quando uscì la notizia che avrei condotto Affari tuoi. Avevano appena speso cifre da capogiro per portare via dalla Rai Paolo Bonolis, l’artefice dello show... Non mi hanno ancora perdonato».

Da tre anni, alla Domenica Sportiva, è un po’ editorialista e un po’ quello che sdrammatizza. Sembra un ruolo delicato...
«Lo è, fare umorismo sul calcio non è spontaneo. Ho imparato con la pratica, facendo Mai dire gol o Quelli che il calcio. Il difficile è essere sempre equilibrati».

Ha esordito sul piccolo schermo quarant’anni fa, nel 1968. Ripensando a se stesso come a un personaggio Tv, come si vede?
«Oggi non mi sento carne né pesce. Ho fatto trasmissioni che sono diventate dei cult, da Drive In a Scherzi a parte. Mi sentivo forte, comico, emergente. Ora sono uno degli artisti meno citati dalla Tv, ho condotto tre Festival di Sanremo, Striscia la notizia, ma non se ne parla mai. Per fortuna, ho azzeccato la scelta di non abbandonare mai il palcoscenico».

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