Quattro compagne di vecchia data, o quasi. Un tavolo, un bicchiere d’alcolico e problemi d’amore che, quando la vita è bella ed agiata, paradossalmente si susseguono in maniera imperterrita ed incredibile. Attorno a tutto ciò ruota Amiche Mie, la nuova fiction trasmessa da Canale5 prodotta dalla Mediavivere le cui protagoniste sono Cecilia Dazzi, Elena Sofia Ricci, Luisa Ranieri e Margherita Buy. Una commedia brillante dalle tinte e dai sapori forti, divertenti ed appassionanti. Noi ve ne avevamo già parlato in termine di presentazione e, come di consueto, dopo la visione della prima puntata proviamo a fare il punto della situazione rispetto a quanto visto, tenendo conto delle premesse che volevano di questa produzione una squallida emulazione del ben più rodato e famoso Sex & the city dal quale, però, si discosta profondamente pur riconoscendo attinenze nell’apparenza delle tematiche trattate.
A fare da sfondo alle vicissitudini delle quattro donne alla soglia dei quaranta anni è una quanto mai stupenda ma poco realistica Milano, dipinta come il capoluogo dell’abbiente vita, il che dà luogo al primo di una lunga serie di stereotipi di cui si è servito, almeno in queste prime battute, Amiche mie, pur di fare breccia rapidamente nel cuore dei telespettatori. A dirla tutta agli inizi l’incipit pareva davvero poco credibile, con una delle donne, la naif Anna interpretata da Margherita Buy, che lascia marito, figlio e suocera nel paesetto di provincia per andare a rincorrere i propri sogni, legati alla conoscenza di un ginecologo-scrittore, nella grande metropoli lombarda, così come a tratti la sceneggiatura sembra essere stata un po’ stirata pur di rispettare un’esigenza di continuità, a volte all’effettivo forzata, nel racconto. Chi andrebbe a vivere a casa di una sconosciuta? Chi parteciperebbe ad una festa della quale non conosci neanche un invitato? Chi ha tre amici sull’orlo del divorzio? Ciononostante il tutto, pur nella sua semplicità sfiorante una leggera banalità, ha un suo appeal prepotente, che si afferma e fa in modo che il pubblico non possa non seguire il seguito delle dinamiche. La bella vita della Milano bene è, come già detto, punto fondamentale nella narrazione delle storie, sulla sfondo di cui si staglia la vera essenza delle prime puntate della fiction: il tradimento. Forse eccessivamente “utilizzato”, ma così stupendamente integrato nella natura delle relazioni della maggior parte di queste donne, il che non guasta in quanto sì presumibile ma ampiamente accettabile.
La storia, nel suo complesso, è scorrevole e ben scritta e sicuramente è un salto di qualità in avanti rispetto alla piattezza della fiction nostrana: pura evasione rispetto ad essa, non tanto per l’originalità del concept, ma per lo sviluppo dello stesso, seppur parzialmente prevedibile. Donne alla ricerca della felicità, alla rincorsa di cui svolge ruolo fondamentale l’amore: chi, del target da cui va a pescare la fiction, non si rispecchierebbe in essa? A fare da peso principale in questo giudizio più che positivo - le due ore, infatti, sono letteralmente volate -, è naturalmente il parco attori ottimamente scelto. Il cinema prestato alla tv impersonato dalla Buy, l’irrinunciabile ecletticità e simpatia della Dazzi, la naturalezza della Sofia Ricci e la novità in campo della Ranieri, di cui è pecca l’estremizzazione del personaggio, è un mix gradevole di bravura e bellezza, eccellentemente misto alla componente maschile, sia essa la “bastarda”, la semplice di provincia o la borderline del ceto alto. Una strizzata all’americanità c’è, eccome e non ne risente affatto la fiction. Aiutano i sottofondi musicali originali ed una grafica assolutamente innovativa.
A fare da contraltare, come già detto, forse un’eccessiva stiratura della sceneggiatura accompagnata alla prevedibilità della stessa: io avrei messo una mano sul fuoco che nell’ascensore, a fine secondo episodio, che stavano aspettando le protagoniste ci fossero il marito di quella ritenuta più fedele con quella che dovrebbe essere il suo superiore di sesso femminile. Saprà il pubblico italiano apprezzare questo tentativo di singolarità nel panorama della fiction o rigetterà per un evidente uscire fuori dai limiti imposti da una società un pochino vecchiotta?
A fare da sfondo alle vicissitudini delle quattro donne alla soglia dei quaranta anni è una quanto mai stupenda ma poco realistica Milano, dipinta come il capoluogo dell’abbiente vita, il che dà luogo al primo di una lunga serie di stereotipi di cui si è servito, almeno in queste prime battute, Amiche mie, pur di fare breccia rapidamente nel cuore dei telespettatori. A dirla tutta agli inizi l’incipit pareva davvero poco credibile, con una delle donne, la naif Anna interpretata da Margherita Buy, che lascia marito, figlio e suocera nel paesetto di provincia per andare a rincorrere i propri sogni, legati alla conoscenza di un ginecologo-scrittore, nella grande metropoli lombarda, così come a tratti la sceneggiatura sembra essere stata un po’ stirata pur di rispettare un’esigenza di continuità, a volte all’effettivo forzata, nel racconto. Chi andrebbe a vivere a casa di una sconosciuta? Chi parteciperebbe ad una festa della quale non conosci neanche un invitato? Chi ha tre amici sull’orlo del divorzio? Ciononostante il tutto, pur nella sua semplicità sfiorante una leggera banalità, ha un suo appeal prepotente, che si afferma e fa in modo che il pubblico non possa non seguire il seguito delle dinamiche. La bella vita della Milano bene è, come già detto, punto fondamentale nella narrazione delle storie, sulla sfondo di cui si staglia la vera essenza delle prime puntate della fiction: il tradimento. Forse eccessivamente “utilizzato”, ma così stupendamente integrato nella natura delle relazioni della maggior parte di queste donne, il che non guasta in quanto sì presumibile ma ampiamente accettabile.
La storia, nel suo complesso, è scorrevole e ben scritta e sicuramente è un salto di qualità in avanti rispetto alla piattezza della fiction nostrana: pura evasione rispetto ad essa, non tanto per l’originalità del concept, ma per lo sviluppo dello stesso, seppur parzialmente prevedibile. Donne alla ricerca della felicità, alla rincorsa di cui svolge ruolo fondamentale l’amore: chi, del target da cui va a pescare la fiction, non si rispecchierebbe in essa? A fare da peso principale in questo giudizio più che positivo - le due ore, infatti, sono letteralmente volate -, è naturalmente il parco attori ottimamente scelto. Il cinema prestato alla tv impersonato dalla Buy, l’irrinunciabile ecletticità e simpatia della Dazzi, la naturalezza della Sofia Ricci e la novità in campo della Ranieri, di cui è pecca l’estremizzazione del personaggio, è un mix gradevole di bravura e bellezza, eccellentemente misto alla componente maschile, sia essa la “bastarda”, la semplice di provincia o la borderline del ceto alto. Una strizzata all’americanità c’è, eccome e non ne risente affatto la fiction. Aiutano i sottofondi musicali originali ed una grafica assolutamente innovativa.
A fare da contraltare, come già detto, forse un’eccessiva stiratura della sceneggiatura accompagnata alla prevedibilità della stessa: io avrei messo una mano sul fuoco che nell’ascensore, a fine secondo episodio, che stavano aspettando le protagoniste ci fossero il marito di quella ritenuta più fedele con quella che dovrebbe essere il suo superiore di sesso femminile. Saprà il pubblico italiano apprezzare questo tentativo di singolarità nel panorama della fiction o rigetterà per un evidente uscire fuori dai limiti imposti da una società un pochino vecchiotta?
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