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lunedì 4 agosto 2008

LA QUALITÀ DI UN PRODOTTO TELEVISIVO È DETTATA E DEFINITA A PARTIRE DAGLI ASCOLTI?

I numerosi prodotti che il tubo catodico quotidianamente ci offre sono soggetti, imperterritamente, ad un insindacabile giudizio, che può palesarsi sottoforma di corona d’allora da porre sul capo di chi ha condotto un determinato programma oppure in una pericolosa spada di Damocle che pende pericolosamente sul capo dello stesso che ha il compito di graziarsi il pubblico cambiando le carte in tavola della trasmissione in questione - ammesso e non concesso che ciò non sia già avvenuto, e quindi la spada è già sulla via della caduta -. Il giudizio che prende forma ogni mattina, verso le 10 circa, reso noto solo dieci minuti dopo al grande pubblico, nel momento in cui ogni critica forma e dettagliata sfaccettatura dei suoi grafici e dei suoi numeri è stata già resa nota a chi di dovere, quello dell’Auditel, ricopre, nel nostro ed attuale mezzo televisivo, un’incredibile importanza, dipinta in maniera più appariscente e particolare, rispetto al suo reale valore che minima - d’importanza - dovrebbe averne, da chi ne è appassionato e da chi, in base ad esso, giudica il proprio operato.

La corsa al raggiungimento della percentuale adatta alla rete con l’immissione, nel corso del tempo, di ospiti, nuove conduzioni, nuovi dinamiche forzatamente insite nella primaria struttura di una trasmissione, i mille e furbi accorgimenti per far risultare almeno una parte del programma, irrimediabilmente spezzato in un indecifrato ed incapibile numero di parti, vincente sulla diretta concorrente e tanto altro ancora, sono, oggi più che mai, sentite e vissute anche da chi normalmente la Tv la guarda per il suo primario compito, quale quello relativo all’intrattenimento.

Molto spesso, però, è commesso un errore al quale pochi preferiscono porre fine o, quantomeno, limiti, anche perché proprio a partire da quest’ultimo si viene raffigurati vittoriosi in più piani e in più ambiti. In questo caso l’errore è nel creare una semplicissima equazione, quale quella ascolti uguale qualità. Ciò che è determinato successivamente è un noto e conosciuto viavai di opinioni e pareri da parte di chi ama la Tv e ne parla per passione e di chi, trattando di essa, porta a casa lo stipendio, i quali, parallelamente a ciò che dai dati auditel emerge, muovono le proprie critiche, rispetto all’innovazione, alla dirompenza, alla qualità stessa di una trasmissione.

L’esempio più caratteristico è relativo al Festival di Sanremo. Contrariamente all’enorme battage, non solo pubblicitario, a cui è dato origine prima che l’evento abbia inizio, per quanto concerne le sue molteplici sfaccettature, dalla musica, ai partecipanti, passando per conduttori e vallette, alla fine della prima delle cinque puntate sempre cala il sipario non solo sul teatro, ma anche sull’angolo della critica televisiva, che apre bocca solo posteriormente. Una decina di ore, quella tra mezzanotte della notte e le dieci della mattina conseguente, in cui regna sovrano il silenzio. Al leggere delle prime percentuali, dei primi decimali, delle prime cifre tutto, come in un enorme industria che inizia una nuova giornata di fatica, freneticamente ha inizio e c’è chi butta giù e stende le prime righe. Cosa accade, precisamente? Qualora gli ascolti siano stati alti, del Festival è declamata l’innovazione, l’indubbia qualità, la bellezza della musica presentata, l’incredibile originalità e quant’altro possa rappresentarlo con toni entusiastici e felici. In caso contrario, alla luce di una debacle totale, come accaduto nell’ultima edizione, le ire funeste e la drammaticità più assurda prendono il sopravvento e dipingono la settimana festivaliera nel peggiore dei modi. Da praticamente nessuno è scisso ciò che è, implicitamente ed in maniera errata, unito: il sinolo qualità-ascolti. Anche quando la qualità è visibile ad occhio nudo, quando gli ascolti sono bassi, essa è scambiata per noiosità del programma offerto. Quando è risicata, rinvenibile a sprazzi, invece, è semplicemente centrare l’obiettivo. Ovviamente l’esempio di Sanremo è solo una goccia in mezzo al mare di esempi che possono essere fatti.

Quello che risulta lampante è una sorta di sudditanza da Re Auditel che miete numerose vittime non solo nei volti che, per dovere, sono obbligati a lavorare nelle direzioni che detta, ma anche in chi critica la televisione e i suoi prodotti. Si è incapaci di fare una distinzione tra qualità e ascolti oppure, per non ammessa inabilità nel giudizio, è in base ai secondi che viene giudicata la prima? In quest’ultimo caso, non c’è nulla di più errato. Ci sono trasmissioni che, nel loro piccolo e nel loro minuto seguito, sono vere e proprie perle dimenticate da chi dovrebbe, invece, raccoglierle e farle ammirare. Perché? Perché ottengono pochi ascolti. Una misura che, sempre più, sembra una giustificazione per tenersene lontani. Ci si arrende, quindi, al panorama che si defila - qualora non si sia già delineato, ovviamente -. Quello che non si ha più interesse nel cosa ci viene propinato, quanto piuttosto nello scorgere quanto gli stessi possano rendere. Sembra che la qualità di un prodotto, che dovrebbe avere forma prima che un programma abbia inizio, nasca, nelle sue - per assurdo - differenti forme, successivamente al raggiungimento di una determinata altezza della colonnina dell'Auditel. E questa è l’antitesi del compito televisivo, segno di una Tv che proprio non va.

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