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martedì 30 dicembre 2008

SCAVICCHIA LA NOTIZIA INTERVISTA GIANNI MAGRIN, AUTORE DEL LIBRO SU GIOCHI SENZA FRONTIERE: "SONO FIDUCIOSO SUL LORO RITORNO, MA CI VUOLE CORAGGIO"

Giochi senza frontiere rappresenta sicuramente un ricordo più o meno indelebile nelle menti di ognuno di noi. Ha contraddistinto le infanzie di molti, ha significato unione in famiglia per altri, ha sviluppato, in tutti, un senso di appartenenza alla Terra natia, quello stesso spirito patriottico blasonato e celebrato più e più volte nel corso della storia della nostra Italia. JSF, però, quella grande macchina ingiustamente spenta da troppo tempo, era messa in moto non solo da chi vi partecipava, chi ne collaborava all’ottimizzazione, da chi presentava e faceva da collante ai vari giochi, ma anche, e soprattutto, da chi stava a casa e tifava, spasmodicamente. Capita così che, in qualcuno, il tifo assume delle sembianze riconosciute, l’infatuazione nei confronti di ciò che è visto si delinea in un preciso e particolare interesse da coltivare per sé, per cultura propria e, perché no?, per divulgarlo. Ed è questo, alla stregua, il lavoro fatto da Gianni Magrin, grande conoscitore e amatore di Giochi senza frontiere. Il suo interesse è stato tale da sfociare nella scrittura di un’opera tutta loro dedicati, intitolata Giochi senza frontiere, Trent’anni di Giochi. Nei giorni scorsi la redazione di Scavicchia la notizia ha avuto il piacere e l’onore di intervistarlo: queste le sue risposte alle nostre curiosità.

Cosa ha significato per te Giochi senza frontiere e in cosa ti ha così tanto colpito?
Lo sport, le gare, le competizioni, mi hanno attratto fin da bambino. Mettere insieme sport, gioco, divertimento è stata una miscela esplosiva. Se penso ai Giochi senza frontiere della mia infanzia, a cavallo tra gli anni Settanta-Ottanta, mi affascinava la gara in sé: era divertente vedere un giovane trasformarsi in cane per acciuffare un “osso saltellante” e poco dopo rivederlo arrampicarsi, con tutte le sue forze, su una parete da vertigine. Mi piaceva vedere come i giovani di mezza Europa si divertivano a giocare e sognavo di parteciparvi da grande. Mi incuriosivano le scenografie, i presentatori, i mitici arbitri internazionali Guido Pancaldi e Gennaro Olivieri. Per me era un mondo fantastico. Spesso, il cortile di casa si trasformava in un’arena di giochi per cugini e amici.Quando i Giochi tornarono, nel 1988, dopo una pausa di riflessione di 6 anni, io ero cresciuto. Subito pensavo ai Giochi come un bel ricordo d’infanzia, invece, non fu così. Dopo aver guardato incuriosito la prima puntata scoprii che le gare continuavano a piacermi, la formula seppure rinnovata funzionava, il programma mi divertiva e mi rilassava. Inoltre, intuivo sempre più che i Giochi senza frontiere portavano con sé una costellazione di valori come l’amicizia, il rispetto tra giovani di culture diverse, la bellezza di un gioco sano, senza tornaconti. Gli atleti rincorrevano la gloria di vincere un trofeo e l’onore di portare a casa una vittoria per il proprio Paese. Tutto questo, alla fine degli anni Ottanta andò a cozzare contro una TV più commerciale, più attenta all’immagine, individualista ed edonista. Ed ecco il successo di trasmissioni melense e strappalacrime, dove mettere in piazza problemi familiari diventa una tragicomica moda; giochi che regalano soldi e felicità senza fare fatica; per ultimo, terzo millennio, programmi (vedi i reality) dove i protagonisti sono sempre più autoreferenziali. E’ evidente che per una televisione di questo tipo non c’è più spazio per i Giochi senza frontiere, i quali traevano forza nell’essere rappresentativi per la gente di tutte le età. Non mi soffermo, ora, su cosa ha significato per l’Europa e di rimbalzo per l’Eurovisione mettere insieme idee, pensieri, forze politiche e portare avanti un progetto Europeista. I Giochi sono nati nel 1965, vent’anni dopo la fine del Conflitto Mondiale. A caldeggiarli fu lo Statista De Gaulle, a sostenerlo, il tedesco Adenauer.
Quali i ricordi più belli nel rimembrarne le affascinanti dinamiche e quali i sentimenti scaturiti sotto tale ottica?
Il ricordo più bello era il clima pre-gara che respiravo in famiglia. I Giochi senza frontiere erano un appuntamento per tutta famiglia. Forse, questo ha dato ancora maggior senso alla mia passione per i Giochi. Nella prima serie i Giochi erano itineranti in tutte le puntate. Sapevo che le gare tedesche erano tatticamente difficili, quelle italiane le più belle e fantasiose, quelle inglesi avevano i pupazzi più simpatici, ecc. Ogni serata si muoveva attorno ad un tema e si cercava di elaborarlo nelle diverse prove. Si andava da fiabe classiche (Le mille e una notte), ai romanzi (Il giro del mondo in ottanta giorni), con grande attenzione agli usi e costumi e alla storia del Paese ospitante (la vita nella reggia di Caserta, le crociate, la "Riconquista" della Spagna dalla dominazione dei Mori) e ai suoi più illustri cittadini (Garibaldi, Wagner, Rubens). Altre ispirazioni venivano dai soggetti più vari (il circo, il mercato, le grandi scoperte scientifiche, il cinema di Fellini, il Far West).
Quale l'elemento portante nella decisione di scrivere un libro tutto loro dedicato e quale il passo decisivo nel farlo?
Scrivere un libro sui Giochi? Ci vuole un po’ di pazzia e di passione. Da bambino avevo un sogno, partecipare ai Giochi. Non ho mai giocato, ma credo di avere “partecipato” lo stesso. Agli inizi degli anni Novanta, la passione per i valori di questa trasmissione mi hanno spinto a conoscere produttori televisivi, arbitri, allenatori e atleti. Volevo toccare con mano il dietro le quinte del mondo dei Giochi. L’esperienza fu unica. Conobbi molte persone, soprattutto atleti, allenatori. A quel punto il passo per scrivere il libro fu breve. Conservavo già in un archivio diverso materiale sui Giochi, scrissi alle amministrazioni comunali dei Paesi Europei della prima serie, richiedendo articoli di giornale, fotografie, materiale audiovisivo, per rendere le mia ricerca fondata e scientifica. Nel giro di pochi mesi mi arrivarono montagne di lettere e di materiale. Feci un’altra scelta di campo: lavorare dal basso, da coloro che sono stati i protagonisti dei Giochi: gli atleti. Alle Emittenti Televisive non chiesi mai nulla.
Qual è la chiave di lettura principale della tua opera? Una semplice narrazione della maestosità e della grandezza dei Giochi o anche altro?
Giochi senza frontiere. Trent’anni di Giochi è il titolo del libro, ma se dovessi dare un titolo nel titolo, oserei con: Giochi senza frontiere: un mondo di relazioni, una infinità di volti. E’ la chiave di lettura che sostiene tutto il lavoro: non esisterebbe niente di tutto ciò che ho scritto se non avessi conosciuto, incontrato persone appassionate dei Giochi e della vita. A questo proposito voglio ricordare due personaggi, i quali hanno dato tantissimo ai Giochi e mi hanno incoraggiato a portare a compimento il lavoro: Popi Perani, l’ideatore dei Giochi e di tantissime trasmissioni di successo, purtroppo deceduto qualche anno fa e Luciano Gigante, produttore esecutivo della Rai.
Il libro è suddiviso in quattro capitoli e contiene due appendici. Il primo capitolo, narra la storia dei Giochi. Come sono nati, chi li ha voluti, le gare: il jolly, il fil rouge, le tifoserie, ecc. Il secondo, traccia un identikit di ogni singola nazione partecipante: le vittorie più belle, i giochi più esilaranti, gli aneddoti delle tifoserie, le squadre, i presentatori, ecc. Il terzo capitolo è un omaggio alle vittorie più significative delle puntate italiane, tra queste le quattro finali vinte da: Como, Abano Terme, Vigevano, Bolzano. L’ultimo capitolo, nato per primo, è il più bello: è una raccolta di testimonianze, di curiosità, di vita vissuta dei protagonisti dei Giochi. Le due appendici riportano: la prima, tutte le classifiche, la seconda le foto più belle del torneo. Il libro è di 240 pagine e contiene 375 foto. Una miniera per i collezionisti e gli appassionati della “vecchia” TV.

È possibile definire JSF come l'antesignano della nascita di uno spirito Europeo forzatamente concretizzata con alcuni provvedimenti politici del nuovo millennio come ad esempio l'introduzione di un'unica moneta?
Certo. E’ stato uno degli obiettivi dei Giochi senza frontiere, il sogno di De Gaulle. Riporto con gioia ciò che il grande Enzo Tortora scrisse nella Domenica del Corriere, l’indomani della prima puntata citando De Gaulle: «...E’ stato proprio De Gaulle ad insistere perché questa trasmissione, questa gara tra piccole comunità, diventasse internazionale e si disputasse tra Belgio, Francia, Germania e Italia come giocatori e la Svizzera come arbitro. Egli pensa che la carica di passione sprigionata da questi giochi semplici e popolari possa giovare ad un legame europeo, e che questi incontri a livello "provinciale" serviranno ad una conoscenza reciproca più intima, più immediata, più vera. Giungeranno, insomma, a farci capire che, in fondo, al di qua e al di là delle frontiere, siamo molto più vicini e simili - vizi e virtù - di quanto non sospettassimo». Continuava, Tortora: «…Qui siamo tra paesani, con divertimenti paesani, ma almeno c’è aria libera e gente vera. I francesi le chiamano "tranches de vie" (fette di vita); sì, saremo nel comico o nel farsesco, ma siamo nella vita. E c'è una controprova inconfutabile: queste trasmissioni piacciono, scuotono furiose curiosità, arrivano al successo popolare, perché? Perché il pubblico vi si ritrova dentro, un poco vi si riconosce, anche negli aspetti banali. E si diverte, bonariamente prendendo in giro se stesso e le sue debolezze. Tutto qui. Ed ora ho finito di filosofare». Cfr. G. Fantin, Il quiz che piace a De Gaulle, in «La Domenica del Corriere», settimanale del «Corriere della Sera», 24, (16 giugno 1965); G. MAGRIN. Giochi senza frontiere, Trent’anni di Giochi, Ed. Centooffset, Mestrino, 2004, pp. 11-12.
Nella tv del reality, del voyeurismo ad ogni costo e dell'eccessivo chiacchiericcio, un'eventuale riproposizione dei Giochi come, secondo te, verrebbe accolta?
Sono fiducioso, prima o poi arriverà qualcuno, qualche genio coraggioso, che tirerà fuori i Giochi senza frontiere dal freezer e li rilancerà con maggiore successo di prima, adattandoli ad un linguaggio giovane e con tecnologie d’avanguardia.
Perché dovrebbero essere riproposti nel più immediato lasso temporale?
E’ ancora tutt’oggi l’unica trasmissione di carattere europeo che ha saputo mettere insieme tante forze pensanti per fare giocare, divertire, i giovani dell’Europa, i quali hanno avuto la possibilità di conoscersi, di confrontarsi, di diventare amici. Alcuni atleti sono diventati amici per la vita, altri hanno trovato l’anima gemella.
Quale l'organizzazione attuale rispetto ad una possibile nuova edizione di JSF?
Se pensassi ad una nuova edizione, farei poche puntate, itineranti, con collegamenti in diretta da più sedi in una stessa puntata. Ad esempio, visto che siamo vicini a Natale [l’intervista è stata realizzata il 23 dicembre, ndr], proporrei una Supercoppa JSF di Natale: un campo giochi potrebbe essere una pista di sci italiana, un altro, in uno stadio del ghiaccio nel cuore di Parigi, e per ultimo in una bella piscina nelle Isole Azzorre. Non solo collegamenti in simultanea, ma giochi a staffetta: farei partire una gara dalle piste da sci, facendola proseguire nello stadio del ghiaccio, per terminare con un tuffo in piscina.
Un passo indietro nel tempo: avrai sicuramente incontrato tante persone appartenenti – magari ancora oggi – al mondo dello spettacolo. Chi ti è rimasto più impresso e perché?
Le persone che ho incontrato personalmente sono state sempre cordiali e disponibili. Ho una buona amicizia con il presentatore Ettore Andenna, come ho bei ricordi del produttore televisivo Luciano Gigante, del giudice italiano Pino Trapassi, dell’inglese Mike Swann e di molti altri. Stimo tantissimo il grande giudice svizzero Guido Pancaldi per la sua semplicità, per il suo essere bello dentro, profondo. E’ un vecchietto saggio che sa insegnare molte cose.
Nel recente passato televisivo, c'è stato qualcuno, nome e cognome, che, a chiare lettere, ha risposto "no" ad un eventuale ritorno dei giochi in televisione?
Non posso fare nomi, ma mi sa proprio di sì.

Un aneddoto, se possibile, o una chicca sulle edizioni precedenti della trasmissione?
Vi rimando al libro: c’è il collezionista di … jolly (a casa ne ha ben sette); c’è chi si presentava a più edizioni e per non farsi riconoscere una volta veniva con i capelli rasati, un’altra tinti, altre con barba e baffi, ecc. In un gioco, in Inghilterra, due atleti di Riccione dovevano sfasciare con la mazza da baseball un pianoforte vero, vedendo quello inglese meno massiccio del loro, di notte fecero una sortita nel campo di gara e invertirono le sigle dei pianoforti: quello inglese con la GB diventò l’italiano con la I. La sera della gara fu un tripudio. Gli olandesi la notte prima della finale di Essen in Germania, inventarono un torneo alternativo in hotel lanciandosi dai carrellini della biancheria lungo il corridoio. Concludo con un simpatico aneddoto sui giudici Gennaro Olivieri Guido Pancaldi, leitmotiv, che ritornava nelle tante serate di festa organizzate durante il periodo estivo. Siamo a Procida nell’estate del 1966. Nei giorni che precedevano la diretta TV, presentatori, produttori televisivi, delegazioni straniere, furono ospitati presso famiglie, nelle case da affittare ai villeggianti. I due svizzeri trovarono una stanza, nell’unico albergo dell’isola non ancora "al completo". Mettendosi d’accordo con i gestori, ottennero una camera addirittura con televisore. Si seppe poi, e fu motivo di scherzo per tutti i vent’anni della loro partecipazione alle gare, che la famosa stanza con televisore, era niente altro che la stanza del televisore. L’albergo, realmente al completo, non poteva offrire altra stanza che la sala dove gli ospiti si riunivano per vedere gli spettacoli. Così, dopo aver atteso a lungo che l’ambiente si liberasse, fu tirato un séparé, un cameriere montò due letti e il famoso televisore fece da comodino. Questi e tante altre curiosità le troverete nel libro.
La ringraziamo per la cortesia e la disponibilità usataci.
La redazione di Scavicchia la notizia.
Per maggiori informazioni, il sito del libro Giochi Senza Frontiere, Trent'anni di Giochi.
Da annotare: Sabato 3 gennaio 2009, alle ore 8.00 del mattino, Rai Tre manderà in onda, sul format televisivo La storia siamo noi, la replica: Una platea per l’Europa: Giochi senza frontiere, programma di Giovanni Minoli, trasmesso con successo il 27 dicembre 2007 e il 5 gennaio 2008. Il programma, di 50 minuti circa, ripercorre la storia del programma europeo più giovanile e più longevo della storia della TV con immagini, aneddoti, filmati raccontati dagli autori dei giochi, dai presentatori e dai protagonisti: Milly Carlucci, Ettore Andenna, Rosanna Vaudetti, il giudice Guido Pancaldi, lo scenografo Armando Nobili, il produttore Rai, Luciano Gigante, l’autore del libro sui Giochi, Gianni Magrin, i responsabili dell’Ebu, Maria Claire Vionnet, Regis De Kalmermatten, Jean Bernard Munch, lo storico, Sergio Romano, gli atleti.

3 commenti:

Matteo Lupini ha detto...

Complimenti vivissimi per l'articolo... mi sono anche commosso... Ne approfitto anche per farti gli auguri di buon anno...

Anche se è Offtopic, ne approfitto, visto che si parla di programmi del passato.

SE VOLETE CHE TORNI "IL GRANDE GIOCO DELL'OCA" FIRMATE LA PETIZIONE SU
http://www.petitiononline.com/j0c3l1n0/petition.html

LA PETIZIONE E' TALMENTE CREDIBILE CHE ANCHE IL SITO UFFICIALE DI JOCELYN NE HA IL COLLEGAMENTO

Anonimo ha detto...

Fantastico.Io possiedo il libro: è meraviglioso, ricco di immagini, di storie e di storia della TV,dell'Italia e dell'Europa.
Speriamo possano tornare presto.
Facciamo il tifo. Stefano

Anonimo ha detto...

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