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domenica 28 dicembre 2008

IL MIO AMICO BABBO NATALE, GERRY SCOTTI E LA CAPARBIETÀ NEL FARE L'ATTORE...

"Un’occhiata alla televisione non la rifiutiamo mica durante le festività natalizie?". Sottotitolava così il nostro Expedit negli auguri che la redazione di Scavicchia la notizia vi ha fatto per Natale. E durante queste giornate mica l’abbiamo rifiutata, l’occhiatina alla tv? Certamente no. Ma la desolazione per il panorama scorto era grande, grandissima, enorme. Avete presente Prato fiorito, il gioco presente sulle vostre macchine in cui bisogna non andare sulle caselle dove si celano le bombe, anche conosciuto come Campo minato? Ebbene, era quella la televisione degli ultimi tre o quattro giorni, con la sola differenza che le bombe da scansare erano repliche e prodotti già conosciuti e i lidi di salvezza o le eventuali repliche sfuggiteci al primo colpo (o al secondo, o addirittura al terzo) o quei miniprodotti sfacciatamente nuovi anche durante la venuta di Babbo Natale. Chi non c’è cascato, almeno una volta in questo centinaio di ore, in una bomba di queste? Il sottoscritto sì, e sarebbe stato molto meglio stare più all’erta, forse. Nella fattispecie, ho avuto il piacere (la disgrazia?) di godermi due particolari prodotti, andati in onda nel primo pomeriggio della giornata di Natale e in quella di Santo Stefano, intitolati Il mio caro amico Babbo Natale e Il mio caro amico Babbo Natale 2 – al quale avrei aggiunto “la vendetta” –.

I due tv-movies sono datati 2005 e 2006, relativamente recenti quindi. Sono le classiche commediucciole di Natale, fatte un po’ per tutta la famiglia, per stare tutti insieme a guardare un qualcosa che, trasversalmente, appassioni i vari componenti e le varie individualità. Non caratterizzate da una trama da Oscar, ovviamente, si sono lasciate guardare piacevolmente. Da notare come però tra il primo e l’ipotetico sequel non vi sia filo logico di continuità in quanto due storie completamente differenti eccetto per un personaggio, quale Babbo Natale, impersonato da un Lino Banfi liberatosi dalle disgrazie relative al fare il nonno a tempo pieno in Un medico in famiglia, alle prese con due diversi personaggi nei due film ai quali ha dato vita lo stesso attore. Oddio, forse essere così poco prudenti potrebbe provocare qualche risentimento o offesa, ma una persona che recita, in fondo, ed ha un ruolo incredibilmente da protagonista, come la si può appellare se non attore? Figurante? Ed è proprio per quest’attore, con tutta probabilità, che i film si sono fatti seguire. Il suo nome risponde a quello di Gerry Scotti.

Sarà una moda dilagante nei meandri del mondo dello spettacolo, quella per cui un presentatore debba riciclarsi come attore – paura che qualche Angels possa rubargli il lavoro? –, ma così è. Ma per Scotti è diverso, in quanto “prestato” già da tempo alla sit-com: basti pensare al gradevole Io e la mamma, con l’indimenticata Delia Scala o al pluritrasmesso Finalmente soli, in compagnia della brava Maria Amelia Monti. Si può dire però che Il mio amico Babbo Natale sia stata la sua grande opportunità, sprecata alla grandissima. La simpatia, l’autoironia, l’essere straordinariamente istrionici nella naturalità di una diretta o nell’estemporaneità di una sorta di registrato non sempre coincidono con una bravura nel campo della recitazione. Il limite posto alla commedia è tutto lì: l’analoga barriera di Scotti nell’essere attore. Alla luce di quanto poi programmato nei due anni successivi – i tv-movies della serie Finalmente – è possibile e lecito chiedersi se tutto ciò è accanimento terapeutico o subliminale invito o richiamo alla visione di un qualcosa solo per l’avere nel cast il nome importante. A ciò si accompagna anche il fatto che a Natale quando tutti vanno in ferie Scotti sembra frammentarsi: a pranzo con il film, a cena, quella di Natale, con quell’altro, nella preparazione di questa, tutti i giorni, a far domande nella sua edizione straordinaria del Milionario, quando capita a tentar di far acquistare un po’ di riso e così via.

Insomma, se uno è nato per fare il conduttore, quello dovrebbe fare. Se uno è nato per fare l’attore, che attore sia. Altrimenti il ruolo e l’essenza diventano quanto mai risibili nella loro – solo ipotizzata? – rigorosità. Tanto più che il pubblico se alla prima rispondee (nel 2005 ci furono 8 milioni con oltre il 30% di share), alla seconda sembra cedere (5.5 milioni). Però è da ammettere che le due commedie sono state veramente divertenti…

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