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lunedì 8 dicembre 2008

ODDIO, LA VENTURA E IL CINEMA!

Lo ammetto: ci sono cascato anche io. Ma vista la confidenza, diciamoci la verità, totale, completa. Un po’ di volontà basale c’era. Sì, perché Natale senza il cine-panettone, sotto sotto, non è Natale. È vero, verissimo, sono commediole spicciole e banalucce, ed il vero cinema è un altro. Magari quello di Gomorra, tratto dal libro cult di Saviano, oramai lanciato a guadagnare i più alti riconoscimenti a livello internazionale. Ma se per due ore ci si può svagare un po’, presi come l’orso a scavare nel vasetto di marmellata, tratti in inganno anche dai nomi che compongono il cast di questi film, mica muore qualcuno, no? Uno degli ultimi, sotto questo punto di vista, è il rinominato (?) La fidanzata di papà, terzo film prenatalizio con protagonista Massimo Boldi dopo la “scissione” con il contraltare Christian De Sica. Quale la motivazione che avrebbe dovuto spingere alla visione di questa pellicola? Sicuramente la partecipazione di Simona Ventura, regina della domenica pomeriggio televisiva e della prima serata di Raidue portata ad indici di ascolto eccellenti con la sua Isola dei Famosi.

Stringatamente, il film è brutto, per non dire altro. C’è una confusione pazzesca di nomi e personalità: Frassica, Mannino, Boldi, Ventura, Izzo, Fichi d’India, e chi più ne ha più ne metta. Ma nessuno di questi “fa” realmente il film. Addirittura la Canalis altro non è che una piccola comparsa. E, per i dietro le quinte di cui tanto si è parlato, di taluni screzi con la Ventura, sembrava fosse la protagonista assoluta. Non sempre, perciò, l’equazione battage uguale bellezza, per così dire, è rispettata, anzi. Non mi dilungo sulla trama, che avrebbe anche un suo perché se meglio gestita, ma che perde di senso nella finale realizzazione, su cui ha effetto anche la rapidità con cui la pellicola è stata girata. Se per la televisione l’indice di gradimento di un programma è il frutto quotidiano rilasciato dall’Auditel, per il cinema è il realismo e la risposta del pubblico in sala. Possibile che per un film che rientra nel ciclo comico si sia potuto ridere in non più di quattro battute, la maggior parte delle quali da parte della comica di Zelig?

Ma quello che più colpisce è l’uso che si è fatto di Simona Ventura. Caspita, per quanto se ne parlò, sembrava dovesse essere la nuova Marilyn Monroe e invece la sua partecipazione è limitata a qualche scena da dittatore, al guidare un paio di volte un auto dalla grossa cilindrata e a passeggiare su una delle magnifiche spiagge di Miami a piedi scalzi. L’impressione che ho personalmente avuto è che si trattasse di un continuo dietro le quinte. Avete presente quando film del genere mostrano gli errori fatti sulle scene mentre scorrono i titoli di coda? Ebbene, vedere la Ventura ridere in quel modo, parlare in quel modo, era totalmente naturale, quello che di lei vediamo in tv tutti i giorni. Il che è contemporaneamente un bene ed un male. Un bene perché, come accaduto già a Scotti o a Bonolis, prestati l’uno alla fiction, l’altro anche al cinema, il pubblico contempla sul grande schermo quello che altrimenti farebbe sul piccolo; un male perché, d’altro canto, un film deve essere fatto da attori, con la “A” maiuscola, che sappiano entrare nella parte, che sappiano immedesimarsi a questa anche se diametralmente opposta al proprio modo di essere. Sembra quasi che la Ventura diventi il pretesto per pagare il biglietto. “Vado a vedere il film della Ventura”, e poi della Ventura c’è niente o poco, e di quel poco pure un qualcosa di male.

Allora mi domando e chiedo: quale altra l’utilità di SuperSimo in questo film, ammesso che le capacità per farne una nuova comparsa siano pressoché nulle? Quasi quasi meglio la Hunziker assoldata dalla Filmauro, no?

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