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giovedì 20 novembre 2008

ANTONIO RICCI: "CANALE 5 IN CRISI? NESSUNA COLPA A DONELLI: AL MASSIMO, DA ADDEBITARE A TIRABOSCHI"

Da qualsiasi aspetto lo si voglia analizzare, Antonio Ricci è pur sempre una delle colonne portanti di Canale5. I mezzucci attuati pur di risultare vincente, come noi stessi abbiamo condannato, risultano nulle se confrontate al beneficio che trae la rete dai suoi programmi, ad onor del vero. C’è però qualcosa che va oltre, quando si rompono dei limiti imposti. La si può chiamare presunzione, lungimiranza o anche acutezza. Non si sa come si potrebbe definire quest’intervista rilasciata da Ricci a La Stampa, in cui assolve, dall’altro di cosa non si sa, Donelli dalla crisi di Canale5, dichiarando che la colpa degli errori commessi, non deve essere ricercata in lui quanto piuttosto in Luca Tiraboschi. Frecciatina neanche tanto velata?

«Canale 5 va male? Non ci sono colpe da addebitare a una persona». All’indomani dell’esternazione di Piersilvio Berlusconi («Canale 5 è sotto le aspettative»), Antonio Ricci difende il direttore, Massimo Donelli e tira una stoccata al capatàz emergente di Italia 1, Luca Tiraboschi, da molti indicato come suo successore: «Se ci fossero colpe - sorride sarcastico - sarebbero da addebitare a Tiraboschi». Inarrivabile «bastian contrario», Ricci è uno che della contraddizione ha fatto un’arte, rendendola mainstream. Sorride placido circondato da chitarre, scolapaste a forma di chiappe e cani di peluche con la faccia della mitica Floradora di Paolo Limiti: «Amo le schifezze», dice. Può permettersi questo e altro dall’alto dei suoi dieci milioni a serata, unico trionfatore, insieme a Maria De Filippi, in questo autunno nero per l’ammiraglia Mediaset. «Guardi che la terna malefica dei flop non viene mica tutta dalla rete – spiega – Crimini bianchi è una creatura di Valsecchi, Fantasia un format giapponese…».

Ma le coincidenze non esistono e tre fallimenti mostrano per lo meno qualche ingenuità di palinsesto, no?
«C’è una confusione di fondo. È un periodo di passaggio, non c’è chiarezza sull’obiettivo da raggiungere. Chi fa la tv commerciale è convinto di doversi rivolgere a un pubblico giovane - per giovane intendo i quarantenni, perché gli under trenta per la tv generalista li dò già quasi tutti per perduti - ma si continua a guardare i dati Auditel generalisti che calcolano uno spettro di telespettatori vecchio, stanziale. Sono due specialità diverse, come dire: la Rai trionfa sui 10.000 metri, ma i Canale 5 ha saltato 2 metri senza asta».

Però lei e la De Filippi secondo l’Auditel andate benone. Come lo spiega?
«Siamo pentatleti, abbiamo pubblico in qualsiasi fascia di età. Ma anche se l’Auditel mi premia continuo a dire che è un meccanismo perverso, brasa qualsiasi intelligenza, getta nello sconforto conduttori e autori fino a creare una spirale dove l’insuccesso è inevitabile. Programmi come quello della Cuccarini per colpa dell’audience sono stati dichiarati morti appena nati».

Giornali e tg lei proprio non li sopporta, vero?
«Fossi fesso, io li adoro. Se non fossero così Striscia non potrebbe esistere. Dico solo che si prendono troppo sul serio. Certi direttori vanno in giro come Nefertiti, come se fossero depositari delle verità ultime, e invece dovrebbero mettersi in testa le orecchie di Topolino. Striscia è proprio nata per mostrare il lato oscuro del contropotere dell'informazione».

Però anche Striscia ha un grande potere, quello di mettere alla gogna chiunque davanti a dieci milioni di persone.
«Sì ma per legittima difesa e non ne abbiamo mai abusato. Non ci siamo mai messi al servizio di bande, come spesso fanno i giornali. Non ci siamo mai presi troppo sul serio. Io sto attentissimo a non essere credibile».

Avete fatto alcune guerre storiche come quella a Bonolis.
«Una guerra più virtuale che reale. Ma portar maghe in tv che parlano con i morti, dopo che per anni con Striscia le aveva sbugiardate, è stato troppo».

Lo ammetta, Ricci, contro i «pacchi» lei ha qualcosa di personale.
«Mannò, anzi mi fa comodo avere un competitor tanto “bizzarro”, vogliamo chiamarlo così? Mi pare solo incredibile che la tv di Stato trasmetta un programma che, con una casualità improbabile, arriva sempre alle battute finali con ingenti premi in denaro, potendo contare sulla complicità, anzi omertà, dei giornali».

Quando è nata la prima idea di sfottere l’informazione?
«C’era ancora la tv in bianco e nero, ricordo Bruno Vespa che al tg parlava di piazza Fontana e annunciava “hanno arrestato il mostro” con quel suo ghigno. Anzi, allora era solo una promessa del ghigno futuro. Ho pensato: “come sarebbe bello dare un’altra versione, laterale”. E appena ho potuto l’ho fatto».

Si dice che la tv non funziona perche si ripete. Com’è che lei funziona facendo da vent’anni le stesse cose?
«Attenzione. Io non faccio sempre le stesse cose: il marchio è quello ma Striscia è cambiata moltissimo, come Paperissima. Anzi abbiamo proprio approfittato dei momenti di crisi per lavorare in maniera più profonda. So quello che faccio e quello che voglio. La crisi è davvero un'occasione, quando tutto va bene inevitabilmente ti siedi. Io ho la fortuna di avere i nervi saldi. E di non essere un cardiochirurgo».

Qual è stata la sua crisi peggiore?
«Nei primi Anni 90 il karaoke di Fiorello ci ha fatto male, ci ha resi improvvisamente vecchi.. E' allora che ho ringiovanito l'immagine della Veline, e ho sostituito il comico anziano - che di solito affiancava Greggio - con Iacchetti. Anche se Iacchetti l’ho preso per sbaglio...»

Come per sbaglio, povero signor Enzino?
«Credevo che fosse un altro, un tal Gianni Ciardo, pugliese, pensavo di affiancare il comico di Biella a quello di Bari. Invece ho preso lui che era di Luino e non sapevo più come dirglielo... E poi da un errore è nata una delle coppie più riuscite della tv».

E «Paperissima»? Un varietà classico, tradizionale...
«Certo, però dietro c’è un gran lavoro autoriale, un’attenzione ai conduttori, Michelle Hunziker e Gerry Scotti, che sono anche ottimi attori, soluzioni tecniche che non si vedono da nessuna parte. È un varietà denso, pieno di citazioni di film o fatti di attualità, non esistono tempi morti, che è poi un po’ la cifra di tutto il mio lavoro. Pur sapendo benissimo che i tempi morti per una certa platea sono rassicuranti. Ma non mi interessa un pubblico che dorme, io lo voglio sveglio. Quando facevo Drive In questa mancanza di tempi morti ci faceva considerare quasi eversivi».

«Drive in» è diventato il simbolo degli Anni 80, della tv berlusconiana. Una bella responsabilità.
«In verità la tv degli Anni 80 di Berlusconi era fatta da programmi come: Premiatissima, Risatissima, Fascination …Drive in, su Italia 1, con un cast di attori mezzochè sconosciuti, era una parodia. Non a caso Angelo Guglielmi dichiarò di essersi ispirato a Italia 1 per la sua Raitre. E' meraviglioso e significativo però che resti più impressa la parodia dei grandi show berlusconiani».

Un altro fraintendimento che lei lamenta sempre è quello delle Veline. Qualcuno la tratta come il primo che ha portato belle ragazze in tv.
«Già, mentre anche qui le veline nascono come parodia del ruolo della donna in tv e insieme come parodia dell’informazione. La verità è che contro le veline si scatena la coda di paglia radical chic, mi viene in mente la battuta fulminante di Cristina Quaranta, quando la criticavano per la storia con un calciatore: “Mo’ me faccio Santoro che è ‘n’intellettuale così so’ tutti contenti”».

È vero quel che si dice, che «Striscia» fa sfottò e non satira?
«Striscia fa tutto, satira, sfottò, denuncia e schifezze. Non si dura a lungo se non si diversifica. La satira da sola non può reggere sulla distanza e sui grandi numeri, è sempre stata minoritaria, di nicchia e comunque non ha mai cambiato il mondo. Il fuori onda di Buttiglione trasmesso da noi ha fatto saltare un governo, ma non era una battuta, era realtà. Luttazzi è stato epurato perché c’era Travaglio dietro, lui da solo avrebbe continuato a fare le sue battute per pochi».

Eppure certe battute restano proverbiali, come quella di Grillo sui socialisti.
«Pensare che ha detto cose ben più dure, quella era proprio una barzelletta, il che dimostra come spesso alla base di tutto ci siano solo strumentalizzazioni. Il problema della satira è che i politici si indignano quando gli fa comodo. E' successo a noi con Fini, l'anno scorso. Però è noto a tutti che fare 150 battute a Silvio Berlusconi sul conflitto di interesse diventa noioso e impraticabile per ogni satirico. Per fortuna, il Presidente del Consiglio fornisce sempre nuovi spunti»

È un grande capocomico.
«Ha capito che così diventa inattaccabile e ci marcia: fa le corna nelle foto, fa cucù alla Merkel. Lui però non è Drive in, lui è il Bagaglino».

2 commenti:

Anonimo ha detto...

> Ale 93

Che ridicolo...

Mamma mia...

Anzi una ce l'ho...:

R-I-D-I-C-O-L-O.

Anonimo ha detto...

AH!AH!AH!Chiamate il babbo Berlusconi che vi da una mano a tirarvi su!