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giovedì 8 gennaio 2009

TECNICHE DI RILEVAZIONE SEGMENTATA AUDITEL E UTILITÀ DEL DISONESTO SPEZZETTAMENTO

Un innegabile dato di fatto: la televisione è soggiogata alle regole dell’Auditel. Questo è quanto di più normale esista nel vaporoso modo del tubo catodico. Se infatti determinate produzioni, che da un punto di vista strettamente qualitativo lasciano un po’ a desiderare, continuano nel loro (in)naturale prosieguo di trasmissione è poiché soddisfano quei tanto rinominati obiettivi. L’Auditel, comunque, per quanto affascinante nelle sue sfaccettature, nella resa dei conti quotidiana di sfide tra programmi, è pur sempre un discorso che, se affrontato da chi non rappresenta il cosiddetto esponente dei piani alti e perciò ricoprente un ruolo decisionale rispetto alle scelte e alle mosse di una rete televisiva, è paragonabile al classico chiacchiericcio da bar. Con le dovute differenze ed "esercitazioni di prese" sul pubblico, gli ascolti divengono argomenti di discussione come il calcio: tutti ci si sente un po’ allenatori, tutti avremmo saputo quale giocatore schierare per fare goal e per vincere la partita, quando e chi sostituire. Parallelamente, tutti ipotizziamo il palinsesto vincente, la trovata arguta che avrebbe risollevato gli ascolti di un programma e via dicendo. Proprio nel discutere di Auditel, però, bisogna tenere in considerazione alcuni piccoli marchingegni che sembrano essere creati giusto per fare confusione in chi non mastica quel linguaggio specifico da un po’ di tempo. Uno di questi è quello della segmentazione multipla, della suddivisione, del così chiamato “spezzettamento” che la fa da padrone nella rilevazione giornaliera dei dati.

Il discorso tempo fa era applicabile solamente al fare ricorso ad anteprime e a posticipi di alcuni che, come da nome, introducevano o erano semplici appendici finali di un programma. Oggigiorno, però, lo spezzettamento è quanto mai utile per risultare vincenti, seppur esclusivamente sui diretti concorrenti. Cosa succede, nella pratica? Una trasmissione “x” va in onda, normalmente, e ha una durata – tanto per dire – di un paio di ore. Prima di predeterminati blocchi pubblicitari, importanti perché coincidenti con la fine del concorrente o per altre oscure motivazioni, un cartello indica la fine di una parte di questa. Al rientro, se ne annuncia la seconda. Da un punto di vista contenutistico per assurdo non c’è neanche questo cambiamento, e seppur ci fosse, è impercettibile. Il trucchetto, invisibile e apparentemente innocente ai più, nasconde invece la mancata rilevazione degli ascolti di quei tre o quattro minuti di spot che, se calcolati nella media della trasmissione, ne ritoccherebbero al ribasso la percentuale finale dato il naturale cattivo risultato di questi ultimi. Ancor più “gravemente”, però, c’è chi azzarda una segmentazione in onda, nel senso che nel bel mezzo della trasmissione si stoppa il programma per un attimo, facendo la regia apparire il cartello fine prima parte, fine anteprima o similari, ritornando in onda e basta.

Queste assurde pratiche, nel corso degli anni, sono state messe in atto soprattutto da quei programmi ritenuti o di punta ma viventi una fase di stanca (basti pensare alle puntate centrali dell’ultima edizione di Zelig che soccombevano alla concorrenza dell’Isola dei Famosi 6 e a quella de Il commissario Montalbano divise in Zelig e Gilez) o da quelli che, incredibilmente, restano in onda senza motivazione (la Festa Italiana di Caterina Balivo, che addirittura lo scorso anno vide tripartizione di ascolti, con solo una parte di venticinque minuti andata discretamente). Ma anche Quelli che il calcio e…, con un anteprima di circa due ore (!) e un’altra parte di un’ora e mezza, Questa domenica con tre parti per due ore di trasmissione, Domenica in con cinque rilevamenti in poco meno di sei ore, i quiz della fascia preserale che “scorporano” un break pubblicitario a seconda del vantaggio tratto, le strisce in daytime dei reality show – La talpa quest’anno per meno di un’ora ha avuto tre spezzettamenti con una rilevazione di meno di cinque minuti – e messa cantando. Inutile spendere parole su come poi succitati cartelli siano realizzati: con scritte minuscole o incomprensibili (quella sorta di effige cinese o giapponese in onda qualche tempo fa alla fine di Striscia la notizia quando ancora aveva un break nel suo mezzo).

Ancora una volta entra in gioco la domanda sulla natura di questa sfida: i pubblicitari, cosa nota, rilevano gli ascolti di una fascia e non della singola trasmissione, chiamata a portare in media la prima. E, maggiormente, ciò che ascolti debbono registrare è il sistema pubblicitario, soprattutto, evidentemente, per quanto riguarda la televisione commerciale alla cui sussistenza gli introiti di quanto appena detto ricoprono importanza vitale. L’intento, quindi, è quello di risultare o vincente o quantomeno gettare fumo negli occhi pur di mascherare i deludenti risultati. Certo è che mascherare una parte all’11% di share sull’ammiraglia, che sia di domenica da una parte, o tutti i giorni dall’altra, non è che sia proprio figura bella…

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