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lunedì 23 febbraio 2009

DOMENICA IN DA SANREMO: TRASH, NOIA, ARIA FUNEREA. INVIDIA O IMPREPARAZIONE CORALE?

Quando finisce un Festival, è un classico la visione del post Sanremo tutto offerto dalla combriccola annuale di Domenica In, che per l’eccezione sposta baracca e burattini in quel della riviera ligure. Una volta ciò accadeva anche nella domenica direttamente precedente l’inizio della nuova edizione della kermesse, quando i conduttori facevano da collante ai vari momenti tutti attinti dal ricordo musicale e dall’esecuzione di brani che hanno fatto la storia della manifestazione, dal Casinò della cittadina, non potendo già “svestire” la sempre più bella scenografia del Teatro Ariston messa a punto annualmente con tocchi di incredibile novità e tecnologia, come invece accade il giorno dopo la proclamazione del vincitore assoluto, quando tutte le canzoni si ri-esibiscono con la possibilità da parte della critica di porre domande, fare bilanci e così via. Un appuntamento irrinunciabile nella sua aura di classicità intoccabile ed immutabile… fino a ieri pomeriggio, quando una slabbrata Domenica In, brutta e tediosa, ha avuto vita, nella rilettura dei fatti di quella che è stata la cinquantanovesima edizione del Festival. La Domenica In 2008/2009, si sa, è la peggiore mai costituita in tanti anni di buon servizio, sia a livello di contenuti, praticamente inesistenti, sia a livello di conduzione, tripartita tra innumerevoli volti nei tanti ed indicibili pezzettini, ritagliati forzatamente, e questo il telespettatore può facilmente dedurlo.

Ad aprire le danze, Massimo Giletti con la sua Arena trasferita sul palcoscenico a cui ha ridato smalto e lucentezza Paolo Bonolis, come noto. E’ la parte più animata della domenica pomeriggio sanremese. Si dibatte di quelli che sono stati i problemi e le critiche del Festival: delle canzoni, neanche l’ombra. O meglio, qualcuna c’è, ma serve solamente per sedare gli animi furenti degli ospiti. Prima lo scandalo Albano relativo al televoto, poi quello Zanicchi, su cui si parla e si sproloquia a lungo termine, con una Iva con occhi di fuoco ed un infuriato Sgarbi che chiede la restituzione dei 350.000€ incassati da Roberto Benigni per il suo monologo all’interprete di Zingara per danni morali, etichettandolo come un “pagato comunista”. Il tutto suscitato da chi, tra il pubblico, notava come il programma di Giletti stesse diventando un comizio politico di parte estrema, portando il critico d’arte alle sue note manifestazioni d’intenti particolarmente colorite, bruscamente interrotte dal conduttore che, lungimirante, chiede la pubblicità. Una prima ora dedita al trash più sporco e becero, che scaturisce all’interno di un contesto festivo e giocoso.

Poi la nota politica – e ci si chiederà: dove l’utilità? – con un’ingrassata (è incinta) Monica Setta che ospita Manuela Villa ed Emilio Fede, tra gli altri, che dedica spazio al ricordo. Quando un Festival finisce non si parla di questo, no, ma di quello di quindici anni fa. Buono a sapersi. Non che Lorena Bianchetti sia stata meglio, anzi: è pur vero che dà voce a qualche cantante, come Dolcenera, ma i battibecchi con Ornella Vanoni diverranno epocali, scene da non dimenticare del Supervarietà in onda fra 50 anni. In tutto questo, dell’atmosfera così bella di cui prima non rimane niente, se non l’Ariston ammaestrato come il peggior pubblico parlante di Amici, con fischi ed urla quando qualcosa di impopolare viene detto. Per ultimo, il momento più atteso: quello condotto da Pippo Baudo. Due erano le chance per lui: rimanere a casa e beccarsi le critiche del mondo dello spettacolo, o combattere lo spettro di un Festival che non è suo. Opta per quest’ultima, ma l’aria è fortemente dismessa, funerea, che va avanti per inerzia di un Sanremo stupendo. Baudo è un morto che parla e cammina, profondamente ferito nell’animo e lo dimostra più volte. Si risveglia a sprazzi, si imbambola dinanzi al pallone della canzone di Ania, commette errori, è grossolano e poco attento, con ipocrisia portata maldestramente alla luce da errori in regia, sbaglia il nome del vincitore Marco Carta nei confronti di cui commette una grandissima gaffe (“ti avrà votato anche tuo padre”). Un funerale in diretta, la gelosia portata sul palco in maniera lapalissiana ed evidente. Quelle scene le avrebbe volute calcare lui, ovviamente. E chissà che un giorno non siano ancora le sue.

Una Domenica In da Sanremo trash, brutta, funerea che collima freddamente con l’atmosfera festivaliera più volte anche da noi celebrata. Sinonimo non solo di quanto i vari conduttori godano una (in)sana invidia nei confronti di mastro Bonolis, ma anche di quanto malfatta e da rivedere sia questa oscena domenica pomeriggio di Raiuno.

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